Nuove Frontiere: emozioni, decision-making, performance sportiva


di Alistair Castagnoli, consulting coach

“Il modo più efficace per forgiare un gruppo vincente è fare affidamento sul bisogno dei giocatori di conoscere qualcosa di più grande di loro.” Phil Jackson

UNO STRUMENTO IN PIU' AD ALLENAMENTO

Perché parlare di emozioni?
Perché inserendo la loro gestione nella metodologia di allenamento abbiamo ottenuto risultati eccellenti.

CONTROLLARE O ESSERE CONTROLLATI?

Partiamo dalla fine.
Partiamo dalla valutazione fatta al termine di tre stagioni in cui abbiamo applicato questa metodologia per allenare una squadra di basket femminile (stagioni dal 2010 al 2013; campionato senior con squadra di età media under 20; percentuale di vittorie totale 72%; percentuale di vittorie nelle partite punto a punto 80%).
Ritenendo che una metodologia sia valida quando ti permette lo sviluppo degli atleti (quantificabile in termini oggettivi, quindi numerici) e il raggiungimento degli obiettivi (gli obiettivi saranno tema di un prossimo articolo), due sono i dati che portiamo a testimonianza della sua validità basandoci sulle statistiche raccolte nelle partite decise da uno scarto di soli 5 punti negli ultimi 5 minuti di gioco (partite considerate le più problematiche da giocare e in cui si ritiene che prendere decisioni corrette e razionali sia più difficoltoso a causa dell’interferenza delle emozioni): il miglioramento delle statistiche individuali (e di squadra) e il record di vittorie ottenute.
I numeri parlano chiaro. Il record di vittorie della squadra nelle partite punto a punto è stato dell'80% (contro il 72% complessivo, prova sicura che la squadra sa vincere meglio quando le partite sono delicate); le statistiche di tutte le giocatrici sono migliori non solo in questo tipo di partite ma anche nei 5 minuti finali delle partite stesse (proprio nei minuti in cui il risultato finale viene deciso e tutti si attendono un peggioramento dovuto alla stanchezza e al peso emotivo della posta in palio).
Come mai le nostre giocatrici nei momenti di maggiore difficoltà hanno saputo raggiungere risultati migliori?

Innanzitutto con lo staff siamo partiti da due considerazioni: 1) i minuti finali delle partite punto a punto sono i più difficili? 2) E’ possibile creare delle giocatrici che nelle partite impegnative non provino emozioni e quindi sbaglino di meno?
La risposta è ovviamente “no”. Per tre motivi principali.

Primo: la difficoltà di un compito dipende dalla percezione emotiva (e dal conseguente peso emotivo) che ognuno ha di quel compito. Una volta stabilita una familiarità con il terreno delle partite punto a punto, le giocatrici le hanno considerate quelle in cui sapevano esprimere al meglio le proprie abilità (ristrutturazione semantica).
Secondo: le neuroscienze negli ultimi due decenni hanno dimostrato che la presa di decisione non è un processo puramente logico e razionale ma che è il frutto della collaborazione con “le rappresentazioni viscerali di tutte le informazioni che elaboriamo senza accorgecene” (Leher, 2009): le emozioni.
Terzo: quando ripensiamo ad un fatto piacevole o spiacevole che ha lasciato traccia dentro noi, cosa ricordiamo per prima? Le emozioni che abbiamo provato durante quell’episodio. E più le emozioni sono state vissute intensamente, maggiore è la precisione del ricordo stesso.
Le emozioni fanno parte di ognuno di noi. Negarle, ignorarle o reprimerle è un ottimo modo per esserne ancora più schiavi.
Da qui la nostra scelta: siamo fatti di emozioni, usiamo le emozioni a nostro vantaggio.

LA' DOVE ACCADE OGNI COSA

I dati statistici raccolti in tre anni dal genio delle statistiche dottor Marco Coletti, smentiscono la credenza secondo cui nei momenti delicati delle partite (5 minuti da giocare, sotto o sopra nel punteggio di 5 punti) ci si debba affidare alla pura razionalità senza lasciarsi sostenere dalle emozioni.
Un impiego consapevole degli stati emotivi ci ha al contrario aiutato a preparare in allenamento la capacità e l’abitudine delle giocatrici a prendere decisioni (inconsapevoli) funzionali al benessere personale e quindi al modello di gioco usato dalla squadra. Le emozioni hanno così migliorato l’apprendimento motorio, le capacità decisionali e i rapporti interpersonali. Come?
Riflettiamo sulla risposta alla seguente domanda: cosa succede durante un allenamento?

L'allenamento è un incontro di persone con obiettivi comuni, ma con idee su come raggiungerli inizialmente differenti. Ancor più importante l'allenamento è un incontro di lampi di gioia, divertimento, delusioni, arrabbiature, soddisfazioni, incomprensioni, chiarimenti, realizzazione di sé, disappunto, gioia. Momenti intrisi di emozioni. Se questi momenti non vengono analizzati in modo cosciente, se non si genera consapevolezza individuale e di squadra, non c’è crescita personale. Senza crescita personale non c'è miglioramento della performance e lo sport cessa di essere un momento di formazione ed educazione al benessere e alla vita.
Le emozioni sono un prezioso alleato per ogni coach che vuole lasciare il segno dentro le persone. Un segno non solo caratteriale, ma anche tecnico. Questo lo sottolineo per quelli che ancora ritengono che lo sport debba solo insegnare lo sport: la comprensione degli stati emotivi perfeziona l'apprendimento motorio.

MINDSET VINCENTE

Spencer Johnson afferma che “La gente soddisfatta di sé produce buoni risultati!”
Vero! Quindi in che modo abbiamo reso le giocatrici soddisfatte di sé?

1) Grazie al contagio emotivo, ossia “quel processo interpersonale automatico, istantaneo, inconscio e del tutto indipendente dal nostro controllo” (Goleman, 2011) che ci fa urlare, gioire, sorprenderci, commuovere tutti insieme allo stadio quando la nostra squadra segna un gol o sbaglia un rigore; o al palazzetto quando un giocatore segna un canestro o vince all’ultimo tiro; o ad un concerto quando il gruppo suona il brano più rappresentativo; o al cinema o teatro quando la recitazione è particolarmente intensa e coinvolgente. I neuroni specchio ci ricordano infatti che “il nostro cervello è un organo sociale” e che volenti o nolenti “siamo tutti direttamente responsabili dell’influenza da noi esercitata sulle emozioni delle persone” (Goleman, 2011) che incontriamo.
Sincronizzare in nostri valori fisiologici con quelli di un'altra persona ci permette di sentire una “sorta di legame, un senso di vicinanza e calore” (Goleman, 2011) che aumenta la resilienza permettendo il miglioramento di ogni giocatrice esperienza dopo esperienza, allenamento dopo allenamento.

2) Grazie alla presa di consapevolezza della propria importanza all’interno della squadra: ogni giocatrice ha la responsabilità di contribuire in modo positivo al successo dei momenti di lavoro condiviso (allenamenti e partite) comprendendo, gestendo ed “indirizzando in un modo ottimale gli stati cerebrali” (Goleman, 2011) ed emotivi di sé stessa e delle compagne (empatia) (Goleman, 2011, 2014). Abilità che le servirà anche nella vita personale. Risultato?
Il seguente circolo virtuoso: maggiore gratificazione (il lavoro fatto dà risultati) -> sto meglio con me stessa (sento la qualità del mio impegno) -> miglior clima ad allenamento (sono più serena perché sto raggiungendo gli obiettivi) -> la performance migliora (sono più sicura delle mie abilità) -> la squadra raggiunge i risultati previsti (aumento dell'auto stima, dell'auto efficacia).
Usando feedback che portano l’attenzione sugli stati d'animo, su quanto è stato fino a quel momento realizzato, su precise  indicazioni per il futuro e usando un mindset vincente in cui gli ostacoli vengono percepiti come dovuti “a circostanze che possiamo modificare in meglio” (Goleman, 2011), le giocatrici sono state guidate al potenziamento personale e conseguentemente tattico, tecnico e fisico.

ALLENARSI A DECIDERE – L'ILLUSIONE DELLA LIBERTA'

Giocare a basket, praticare uno sport è come vivere: dal primo momento all'ultimo noi prendiamo decisioni, in modo consapevole e non consapevole. Anche quando ingenuamente pensiamo di essere liberi il nostro cervello ha operato una serie di analisi (di cui non siamo consci) che si sono trasformate in un'azione. La scelta di una precisa azione come risposta al processo decisionale compiuto dal nostro cervello è un'abitudine acquisita con il tempo e con l'allenamento. 

Quando è in campo la giocatrice vive costantemente il dilemma tattico del “Cosa faccio qui e ora?” (Oliveria e coll, 2009). A questa domanda, che si pone in modo del tutto inconscio, risponderà prendendo delle decisioni e trasformandole in gesti motori. Il cervello crea una rappresentazione speciale di ciò che è possibile fare (per questo allenare un gesto allena quel gesto!) e predispone la giocatrice all’azione (Oliveria e coll, 2009; Kaiser, 2003). Ancora più importante è il fatto che “il processo di apprendimento ha bisogno di un’intenzionalità nelle azioni (legata a un’emotività) in modo da plasmarsi in modo veramente educativo. Per questo, quando un agente" (la giocatrice) "prende coscienza della sua intenzione nell’atto" (sa cioè che decisione prendere), "attraverso la sua ripetizione sistematica, l’abitudine si acquisisce più facilmente.” (Oliveria e coll, 2009).

Questo significa che l’allenamento va pianificato in modo che la giocatrice abbia chiare le risposte decisionali ad ogni situazione tattica incontrata: ossia l’allenamento è appreso quando fa “acquisire al giocatore un insieme di intenzioni previe" (rappresentazioni mentali effetto di una cosciente deliberazione che precede l’agire) "relative a una specifica forma di gioco e dopo, con gli esercizi, fa promuovere l’emergenza di intenzioni in atto" (gesti motori che nascono nel cuore dell’azione) "adeguate alle intenzioni previe.” (Oliveria e coll, 2009)

CHI CONTROLLA IL CONTROLLORE?

Come avviene questo processo?
“Il nostro cervello ospita due sistemi mentali semi-indipendenti e separati.
Il primo – attenzione Bottom-up – ha un’enorme potenza di calcolo e opera continuamente ronzando in silenzio per risolvere i nostri problemi, sorprendendoci poi con la soluzione improvvisa di un’elucubrazione complessa. Le sue attività restano impercettibili.” Ne fanno parte “l’attenzione a livello riflesso, l’impulso e le abitudini meccaniche.” (Goleman, 2013). Esso “analizza tutto ciò che è presente nel nostro campo percettivo prima di farci sapere ciò che ha scelto di rilevante per noi” (Goleman, 2013) e prima di trasferirlo al secondo sistema: l’attenzione Top-down. E’ questo il caso di quando siamo improvvisamente colpiti da una intuizione che sblocca in un jiffy (il tempo impiegato dalla luce per percorre 1 fermi)  giorni di inoperosità o da un gesto motorio che non sapevamo di essere in grado di fare fino a quel momento.

Il secondo sistema, il sistema Top-down, “si riferisce a quell’attività mentale che può monitorare la macchina subcorticale e imporle i propri obiettivi.” “Essa impiega un tempo maggiore per deliberare su ciò che le viene presentato”. Ci permette di rivedere nella nostra mente le azioni fatte mentre pratichiamo uno sport e far sì che “il legame fra gli assoni e le dendriti che orchestrano quei movimenti diventi un po’ più forte” (Goleman, 2013), permettendoci di acquisire la maestria in una attività. Appartengono a questo circuito “l’attenzione volontaria, la forza di volontà, la scelta intenzionale, la consapevolezza di sé, la riflessione, la deliberazione e la pianificazione.” (Goleman, 2013)

Quando alleniamo dobbiamo ricordarci i meccanismi di entrambi i sistemi e il fatto che il cervello economizzi energia preferendo l’uso della mente bottom-up: gli sforzi cognitivi richiesti dall’apprendimento motorio (ad allenamento) richiedono un’attenzione attiva e hanno quindi un costo energetico (apprendere un nuovo gesto tecnico, un nuova schema di gioco costa energia che il cervello non vuole consumare!). "Ma quanto più ci esercitiamo in una nuova attività, tanto più quest’ultima si trasforma in una routine meccanica, e la sua guida viene quindi assunta dal circuito Bottom-up (per questo è saggio allenare abitudini che generino benessere!). I sistemi Bottom-up e Top-down si spartiscono i compiti mentali in modo da permetterci di ottenere risultati ottimali con il minimo sforzo." (Goleman, 2013)


LA SENSAZIONE CHE SUGGERISCE

“Nel basket come nella vita, la vera gioia deriva dall’essere totalmente presente in ogni momento, non solo quando le cose vanno bene. Naturalmente non è un caso che le cose abbiano più probabilità di accadere, e di andare nel verso giusto, quando smetti di preoccuparti di vincere o perdere e concentri l’attenzione su quello che sta accadendo.” Phil Jackson

Avete presente quella sensazione che al supermercato vi suggerisce di scegliere una certa marca di marmellata al posto di un’altra?
La teoria del marcatore somatico è stata sviluppata dal neurologo Antonio Damasio dalla fine degli anni 90. Grazie ad una serie di esperimenti, Damasio e i suoi collaboratori hanno scoperto che di fronte a un risultato incerto (e in ogni azione di basket il risultato è incerto) il soggetto (la giocatrice) si fa aiutare nella decisione da un meccanismo associativo precedentemente allenato.
Il cervello tiene in memoria i risultati di decisioni prese in passato per aiutarci a prenderne di migliori in futuro. Queste memorizzazioni vengono legate ad uno stato somatico (un cambiamento fisiologico che rispecchia uno stato emotivo e che viene percepito come una sensazione) e ci vengono comunicate ogni volta che ci troviamo dinanzi ad una situazione simile. Il marcatore somatico è un segnale d’allarme che ci avvisa del pericolo o del vantaggio di una scelta che stiamo per compiere [vedi fonti 1] (come ben sa chi è affetto da dipendenza da gioco d'azzardo).

Il processo può essere semplificato in questo modo: situazione che richiede una decisione -> lettura da parte del cervello della situazione (in modo automatico e spesso inconsapevole) -> sensazione corporea/somatica associata a precedenti decisioni similari -> richiamo -> azione.
Nel basket (e negli sport di situazione dove regna l’incertezza) questo meccanismo è continuamente in funzione e spiega il motivo per cui, nel nostro caso, la giocatrice è diventata così efficace a giocare i minuti finali delle partite punto a punto. Ogni volta che una giocatrice fa una previsione che si avvera, il circuito della ricompensa si attiva, la dopamina genera gratificazione e le connessioni cerebrali si rafforzano (Leher, 2009). Usando l’allenamento per creare situazioni di gioco reali e associando sensazioni positive (usando feed-back positivi) alle risposte motorie (decisioni prese) abbiamo guidato la giocatrice a compiere scelte funzionali al successo (Oliveria e coll. 2009). 
Questo spiega anche il perché una giocatrice persevera in un errore se l’allenatore si arrabbia e genera in lei emozioni negative ogni volta che ciò accade.

LA GESTIONE PRATICA

“E’ meglio viaggiare con un bagaglio di speranze, che arrivare.” Ian Fleming

Il potere delle storie
Da un punto di vista pratico cosa abbiamo fatto? Abbiamo dato alla giocatrice gli strumenti per decidere cosa fare del proprio vissuto emozionale. La stagione è stata narrata come un cammino di ricerca da condividere con i compagni di viaggio. Il punto di partenza è stato l'inizio della stagione (il primo colloquio individuale). Il punto d'arrivo non sarebbe stata la fine della stagione, ma il raggiungimento degli obiettivi personali e sportivi.

Riassumendo abbiamo strutturato la stagione secondo i seguenti momenti:
• Presentazione della stagione: viaggio dell'eroe.
• Colloquio: patto sportivo / definizione degli obiettivi / video evocativi.
• Allenamenti: condivisione e ricerca degli obiettivi / motivazione / nuove abitudini.
• Colloqui: analisi della situazione attuale / rinnovo del patto sportivo.

Il viaggio dell'eroe
Rendere ogni giocatrice consapevole e protagonista del proprio percorso è una nostra priorità se si vuole insegnare alla persona a crescere e a giocare in modo vincente. Il motivo è semplice: la persona che raggiungerà gli obiettivi non può essere la stessa che al precedente tentativo non li aveva raggiunti. Ci deve essere un cambiamento. Perché ciò accada la giocatrice deve assumersi le proprie responsabilità e costruirsi un cammino e una narrazione vincenti.

J. Campbell e il suo “L’eroe dai mille volti” ci è venuto in aiuto dandoci ispirazione per realizzare le tappe attraverso cui l'eroe (la giocatrice che scrive la propria storia) passa attraverso:
1. Sentire la chiamata – la giocatrice sente che vuole giocare a basket
2. Accettare la chiamata (superandone il rifiuto) – il coach in modo schietto responsabilizza la giocatrice mettendola di fronte all’impegno richiesto. La giocatrice accetta.
3. Varcare la soglia (l’iniziazione) – La giocatrice esce dalla routine e allena nuove abitudini.
4. Trovare i custodi (che ti aiuteranno nel viaggio) – La giocatrice identifica i compagni che la sostengono nei momenti di crisi.
5. Affrontare e trasformare i demoni (che vivono dentro di te) – Gli avversari / le prove affrontate mettono la giocatrice davanti ai propri limiti.
6. Sviluppare nuove risorse e un sé interiore profondo – Per superare i propri limiti la giocatrice allena nuove abitudini conoscendo sé stessa.
7. La trasformazione – La giocatrice si sente diversa di fronte alle prove.
8. Ritornare a casa con il dono – La giocatrice è consapevole che il cambiamento è possibile.
(Mod. da S. Gilligan e R. Dilts, 2009 – mod. da J. Campbell)

Principi scelti
Oltre a questo ci servivano delle regole, un codice di condotta condiviso, una bussola interiore a cui fare appello davanti alle difficoltà ogni volta che la rotta veniva smarrita, al fine di compattarci, ricordarci il patto sportivo e ripartire con entusiasmo.

• Essere mentalmente presenti (prestare attenzione alle percezioni fisiche e sensoriali; percepire consapevolmente emozioni e pensieri; acquistare maggiore presenza mentale).
• Essere calmi (accettare tutti gli aspetti della vita; imparare a lasciare andare; liberarsi dalle preoccupazioni eccessive; evitare il giudizio; prima riflettere poi agire).
• Essere gentili (con sé stessi e gli altri).
• Mostrare compassione (vedere con gli occhi dell'altro = empatia).
(Mod. da A. Kohle e S. Rieb, 2007)

Insegnare le emozioni: la Scienza del sé
Questo perché? Perché essendo l'allenamento un momento di incontro e condivisione di emozioni con altre persone è fondamentale apprendere i propri sentimenti e quelli che scaturiscono dai rapporti con gli altri. Dare un voto a come ci si sente, all’allenamento, ai momenti condivisi ci ha permesso di parlare di tensioni, traumi, contrasti (alfabetizzazione emozionale; Goleman, 2011).
Dato che, "quando le esperienze vengono ripetute di continuo, il cervello le accoglie come percorsi consolidati, come abitudini neurali a cui ricorrere in momenti di costrizione, di frustrazione e di sofferenza", dominare la sfera emotiva ci ha permesso "di portare alla luce il problema" e risolverlo con creatività, "collaborando, chiarendo i conflitti, trovando un punto di incontro e negoziando i compromessi" (Goleman, 2011).

Per chi ha dei dubbi ricordo solo questo: quando gioca una giocatrice non può preoccuparsi di ciò che sente. Se lo fa il sistema Top-down prende il controllo inibendo l’automatismo del circuito Bottom-up. Il flusso si interrompe, la giocatrice comincia a pensare a come reagire e la frittata è fatta: la spontaneità caratterizzata da scelte intuitive appresa con l’allenamento si interrompe e i pensieri interferiscono con la performance sino alla incapacità di giocare in modo rilassato e efficace o alla paralisi motoria (Goleman, 2011).
Come ci siamo comportati quindi con i pensieri e le emozioni negative?
Rammentandoci che "lo stress rende stupidi" (Goleman, 2012). Non solo: l’agitazione ha effetti nocivi sul pensiero del singolo individuo. "Una persona a disagio ricorda, comprende, impara e decide con lucidità infinitamente minore" (Goleman, 2012). Pensateci quando in futuro deciderete di imbarazzare un giocatore rimproverandolo davanti a tutti!

Detto questo ciò che abbiamo fatto è stato:
• Concentrarsi sugli aspetti positivi (vedere la situazioni con occhi nuovi).
• Tenere sempre presenti le conseguenze (ricordarsi dove vogliamo andare).
• Acquisire i mezzi per affrontare i momenti difficili (gioia e sofferenza fanno parte della vita e dello sport).
• Ricorrere alle distrazioni (evocare emozioni e vissuti positivi).
• Trovare nuove soluzioni (creatività e scoperta)
(Mod. da A. Kohle e S. Rieb, 2007)

LA MIGLIORE CONCLUSIONE

Far fronte a vittorie, sconfitte, conoscere sé stessi, migliorarsi, sono aspetti importanti della stagione sportiva. Stagione che però, prima o poi, giunge al termine. La vita continua. Per questo è saggio domandarsi cosa resti del lavoro e del cammino insieme.
Qualche mese dopo l’ultimo allenamento della squadra da noi allenata ricevo questo messaggio da una giocatrice: “Ogni volta che devo affrontare un duro percorso per raggiungere un obiettivo, mi vieni in mente. Mi hai allenata anche a questo.”
Fine.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Nuova Atletica - Ricerca in Scienza dello Sport, N. 249, novembre/dicembre 2014. 
Prima pubblicazione online: 11 maggio 2015 sul precedente blog http://parliamodibaskete.blogspot.it


FONTI

(1) The somatic-marker hypothesis: how decision are made in the face of an uncertain outcome in http://writepass.com/journal/2012/12/the-somatic-marker-hypothesis-how-decision-are-made-in-the-face-of-an-uncertain-outcome/

Baker J., Còté J., Abernethy B. – Sport-specific practice and the development of exeprt decision-making in team ball sports – Journal Of Applied Sport Physiology, 2003; 15:12-25

Campbell J. – The Hero With A Thousand Faces – Princeton University Press, 2004

Damasio A. – L'Errore di Cartesio – Adelphi, 1995

Gilligan S., Dilts R. – Il risveglio dell’eroe – Alessio Roberti Editore, 2011

Goleman D. – Focus – Rizzoli, 2013

Goleman D. – Intelligenza Emotiva – Bur, 2011

Goleman D. – Leadership Emotiva – Rizzoli, 2012

Johnson J.G. – Cognitive modeling of decision making in sports – Physiology of Sports and Exercise, 2006; 631-652

Kayser B. – Exercise starts and ends in the brain – Eur J Appl Physiol, 2003; 90: 411-419

Köhle A., Rieß S. – I Principi del Dalai Lama per i Genitori – Apogeo, 2010

Landsberg M. – Il Tao del Coaching –  Alessio Roberti Editore, 2009

Lehrer J. – Come Decidiamo – Codice, 2009

Nardone G. – Cogito ergo soffro – Ponte Alle Grazie, 2011

Oliveira B., Resende N., Amieiro N., Barreto R. – Questione di Metodo – Tropea, 2009

Thompson J. – The Double Goal Coach – Harper, 2003

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