Allenare decisioni e abitudini efficaci

di Alistair Castagnoli, consulting coach

QUANDO GUARDI UNA PARTITA COSA VEDI?

Una delle cose che mi crea maggiore dispiacere mentre studio le performance individuali delle partite è notare che molte giocatrici e giocatori stanno in campo ma non giocano!
Questo articolo si riferisce al basket, ma il concetto vale anche per gli altri sport: circostanze simili accadono nel calcio, nella pallavolo, nella pallamano e in tutti gli sport di situazione in cui esista una componente tattica da allenare e in cui la giocatrice/giocatore debba prendere una decisione.
Tutto ciò succede non solo nei campionati regionali o giovanili, dove erroneamente si pensa che il livello più basso o la giovane età sportiva siano sinonimo di minore abilità (tutti concetti che io non condivido: la qualità dell'allenamento deve essere indipendente dal livello del campionato in cui si gioca). Avviene anche e soprattutto nei campionati di medio/alto livello: prima serie femminile e seconda serie maschile italiana. Più difficile accada in Eurolega, NBA e squadre Nazionali, ma non del tutto escluso. Negli ultimi europei di basket (femminili e maschili) ho assistito a situazioni alquanto strane in cui il comportamento delle giocatrici/giocatori assomigliava di più a una passeggiata tra amici che a una performance sportiva.

COSA FA UNA GIOCATRICE/GIOCATORE IN CAMPO?

Una giocatrice/giocatore quando è in campo esprime la sua performance giocando.
Si allena tutta la settimana e scende in campo per giocare.
Chiariamo quindi che stare in piedi su un campo da basket con le braccia lungo i fianchi, le ginocchia diritte e i pensieri che indugiano sull'esito dell'azione precedente o sui fischi degli arbitri non è giocare a basket.
Nel caso del basket (ma vi sarà facile fare lo stesso ragionamento per gli altri sport) giocare a basket significa notoriamente attaccare o difendere.
In realtà io preferisco dire che la giocatrice/squadra attacca con il possesso palla o attacca per conquistare il possesso palla.
Questo per un motivo banale: per fare punti serve la palla!
Oltretutto il fatto che una squadra avversaria possa, più o meno indisturbata, esprimere il proprio gioco durante il 24" del proprio possesso lo trovo un vantaggio regalato all'avversario.
Preferisco allenare una mentalità proattiva: quando la squadra non ha il possesso palla gioca attaccando l'avversario per conquistarlo.
Apro una parentesi: questo non significa solo rubare la palla, ma costringere l'avversario a non giocare il suo gioco di modo che aumentino le probabilità che commetta errori (e perda così il possesso palla). Una squadra che pensa a come deve giocare, perché aggressivamente sottoposta a ripetuti attacchi da parte dell'avversario, di fatto non gioca (si veda il paragrafo "Ma se penso a come fare bene, poi faccio bene?" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/06/choking.html). Sarebbe come passeggiare per strada provando a godersi un gustoso panino al prosciutto mentre ci stiamo difendendo dagli insistenti assalti di un paio di famelici cani che ce lo vogliono rubare!
Questa mentalità proattiva rende la squadra più determinata ad imporre il proprio stile di gioco.
Stile di gioco che è unico. Non difensivo o offensivo. Puramente offensivo per conquistare la palla. Ed unico nel duplice significato di proprietà emergente di quella squadra e di unificato: attacco e difesa sono due concetti secondo me superati. La squadra ha un suo stile e lo esprime sempre per realizzare canestri. Per realizzare canestri serve il possesso palla. Da qui il concetto di attaccare sempre per avere il possesso palla.

DOPO UN'AZIONE DI GIOCO MI FERMO E PENSO A COSA FARE

Immaginiamo una situazione tipica di un allenamento.
L'allenatore spiega un esercizio offensivo definendo quali siano gli obiettivi, divide le giocatrici/giocatori su due file e dà il via. Le giocatrici/giocatori attendono il proprio turno in coda, eseguono l'esercizio e tornano in fila.
L'intensità esecutiva è elevata, l'esercizio riesce bene e tutti sono contenti.
Speriamo di no! Perché in questo semplice esercizio c'è tutto il peggio di cui noi allenatori (errore fatto anche da me a inizio carriera) siamo capaci!
Perché?
Perché oltre al fatto che giocare uno sport non è giocare un esercizio, questa metodologia classica di allenamento allena abitudini sbagliate!
Infatti quando una giocatrice/giocatore gioca una partita non attende il suo turno, esegue la giocata e poi torna in fila!
Quando gioca una giocatrice/giocatore prende una decisione dietro l'altra, basata sul riconoscimento delle situazioni tattiche del gioco ed esegue un gesto fisico/tecnico dietro l'altro per rispondere alle situazioni tattiche del gioco stesso!
Questo è giocare! Prendere decisioni che trasformano ogni azione in un'altra (si veda su questo concetto la bella intervista a Brandon Payne, trainer personale di Stephen Curry, in http://www.cbssports.com/nba/eye-on-basketball/25173642/stephen-currys-trainer-talks-about-regimen-during-mvp-season).
Il gioco è trasformazione di energia! Non è attendere in fila!
Le uniche pause fisiche di gioco durante una partita sono date dall'interruzione del gioco da parte degli arbitri. Ma sono delle semi interruzioni: la giocatrice/giocatore dovrà mantenere proattivo il suo focus sul gioco. Il corpo si ferma in attesa di una nuova azione iniziale, ma il focus rimane operativo (come nel caso dei tiri liberi o di una rimessa in attacco).

UN ESEMPIO TIPICO

Analizziamo una situazione reale di gioco.
La nostra squadra difende e una giocatrice/giocatore avversaria effettua un tiro.
Cosa fa di solito una giocatrice/giocatore in questa situazione?
Guarda!
Dopo il tiro di un avversario purtroppo la maggior parte delle giocatrici/giocatori si gira e guarda l'arco della palla (ricordo che non si tratta di parabola, ma di arco) stando ferma.
Di fatto questa giocatrice non gioca, ma fa ciò che è abituata (tradotto significa ciò “è allenata”) a fare: cioè guardare la palla.
Insegnare - allenare - buone abitudini, abitudini efficaci regolate dai principi del sistema di gioco, deve essere il primo obiettivo di uno staff tecnico.
Questa giocatrice/giocatore dopo un tiro avversario deve reagire automaticamente e fare qualcosa: tagliare fuori un'avversaria e andare a rimbalzo o tagliare fuori un'avversaria e sprintare (sottolineo sprintare) in attacco.
Stare ferma, inattiva è sempre un errore. Ma soprattutto è testimonianza di cattiva abitudine allenata.
Non ci interessa se la responsabilità sia della giocatrice/giocatore o dello staff: ciò che va fatto è prenderne atto e allenare una nuova abitudine più efficace.
Come?
Sicuramente non solo urlando "Fai tagliafuori, cxxxo!" o "Corri!".
Se l'abitudine non è stata allenata molte volte ad allenamento, difficilmente un urlo di un allenatore potrà convincere il sistema nervoso e motorio ad apprenderla!
Servono: duro lavoro, preciso focus sui dettagli, ripetizione, ripetizione e, prima di tutto, allenamento decisionale!
La giocatrice/giocatore fa o non fa tagliafuori in quanto prende inconsapevolmente una decisione dettata dal riconoscimento di una situazione tattica di gioco.
Se questa è stata precedentemente allenata con un rinforzo emotivo positivo, la giocatrice/giocatore in modo automatico deciderà di compiere quell'azione (si veda il paragrafo "La sensazione che suggerisce" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/05/nf.html).
Magia?
No! Allenamento!
Duro. E con uno scopo!
Giocare è un concetto astratto. Dobbiamo renderlo concreto.
Decidere cosa fare azione dopo azione, allenando le decisioni in allenamento tramite situazioni tattiche reali, è ciò che dà forma al gioco. E questo non è astratto!
I principi devono essere chiari: in ogni circostanza una giocatrice/giocatore deve allenare le azioni da compiere.
I principi tattici vanno allenati!
E la giocatrice/giocatore deve attivare il suo focus (si veda il paragrafo "La via del clutch performer" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/06/clutch.html) e metterci il massimo impegno.
Sbuffare, camminare, dirsi che non si è capaci, sono altre abitudini inefficaci da sostituire con nuove abitudini efficaci utili al benessere personale e al sistema di gioco.

CONCLUDENDO

Quindi, per concludere, quando è in campo una giocatrice/giocatore deve aver chiaro cosa fare non perché lo pensa in quel momento ("Ah, hanno tirato. Adesso devo correre.") ma perché ha allenato decisioni (azioni motorie) specifiche della forma di gioco.
La giocatrice/giocatore le riconosce, prende una decisione (si veda il paragrafo "La metodologia e la sua efficacia" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/05/b4.html) e agisce in modo automatico dando vita alla performance.
Fluida, naturale, incantevole performance.

FONTI

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Campbell J. – The Hero With A Thousand Faces – Princeton University Press, 2004
Gilligan S., Dilts R. – Il risveglio dell’eroe – Alessio Roberti Editore, 2011
Goleman D. – Focus – Rizzoli, 2013
Johnson J.G. – Cognitive modeling of decision making in sports – Physiology of Sports and Exercise, 2006; 631-652
Kayser B. – Exercise starts and ends in the brain – Eur J Appl Physiol, 2003; 90: 411-419
Nardone G., Montano A., Sirovich G. – Risorgere e Vincere – Salani, 2012
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Moroso E. – Scritti privati – (osservazioni non pubblicate), 2013
Oliveira B., Resende N., Amieiro N., Barreto R. – Questione di Metodo – Tropea, 2009
Thompson J. – The Double Goal Coach – Harper, 2003


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