Di Alistair Castagnoli, consulting coach
con un contributo di Edi Daniele Moroso
TANTI COMPLIMENTI A CHI VINCE TANTO A POCO
In questi ultimi giorni ho dato un'occhiata ai risultati delle prime giornate dei campionati giovanili di basket in diverse regioni d'Italia (come sempre la mia riflessione parte dal basket, ma vi sarà facile esportarla a tutti i contesti sportivi e non sportivi).
Cosa mi spinga a farlo ancora non lo so.
Probabilmente la speranza di leggere risultati diversi dai
soliti 100-20 o 40-35.
Under 13:
80-20; 80-30
Under 14:
90-30; 90-20
Under 16:
110-30; 90-30; 80-20; 110-20
Under 18: 90-30; 100-30
Potrei continuare, ma penso questi punteggi (ho arrotondato
i risultati per praticità) siano sufficienti a dare l'idea di quanto il
movimento sportivo giovanile (da cui poi le squadre senior pescano i giocatori)
sia malato.
Ovviamente non ci sono solo risultati “tanto a poco”. Ci
sono partite che finiscono con scarti minori (e quindi partite più combattute e
in cui le due squadre esprimono valori più o meno simili) in cui però purtroppo
i punteggi sono ancora più desolanti:
Under 13:
48-31
Under 14:
33-51
Under 16:
44-36; 56-33
Under 18: 45-46; 48-49; 59-33
Desolanti perché i punti segnati sono pochi, altro sintomo
della malattia di cui sopra.
A tal proposito mi sento di condividere quanto scritto dalla
redazione di Pianetabasket.com: “gli allenatori italiani delle giovanili non
sanno tirare su ragazzi che da uomini saranno big man a prescindere se
giocheranno a basket o meno.” (si veda
http://www.pianetabasket.com/editoriale/gli-allenatori-italiani-sanno-far-crescere-talenti-pensiamo-di-no-85574)
UNA PRIMA ANALISI DELLO STATO DELLA MALATTIA
Squadre giovanili che segnano a fatica 59 punti sono espressione di un modo di allenare obsoleto e basato esclusivamente sul risultato finale e non sulla programmazione della crescita delle abilità individuali e della mentalità proattiva (si veda il paragrafo “Cosa fa una giocatrice/giocatore in campo” in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/10/play.html) indispensabili affinché sia il giocatore (che il pubblico – che con la sua presenza determina il successo del progetto sportivo di una società) si sentano coinvolti e si divertano durante una partita.
Sottolineo che il divertimento è necessario sia per
l'apprendimento che per il nutrimento delle motivazioni personali.
Non me ne vogliano i miei colleghi malati di difensivismo
cronico, ma nel basket (e negli altri sport di squadra) il punto viene
assegnato quando la squadra (tramite un giocatore) realizza un canestro. Non
accade ancora che il punto venga assegnato ogni volta che la squadra impedisce
all'avversario di fare un canestro.
La differenza può sembrare sottile, ma vi assicuro che non è
così. E' dal non comprendere questa differenza che nascono tutti gli allenatori
che lavorano in palestra il 90% del tempo sulla difesa e glorificano il loro
ego ipertrofico con tristi vittorie 90-20 o 31-29.
Esattamente che tipo di persone/giocatori pensano di far
crescere usando delle metodologie che portano questi risultati?
La risposta tra poche righe!
Torniamo ai numeri!
I dati suggeriscono due tendenze preoccupanti e sintomi della malattia dello
sport contemporaneo:
1) se si segnano molti punti (e quindi si realizzano molti
canestri) è perché il divario tra le due squadre è elevato.
2) Se la partita è equilibrata (e quindi le due squadre
hanno dei valori in campo che si equivalgono) i punteggi diminuiscono così come
i canestri segnati.
UNA SECONDA ANALISI
Innanzitutto chiariamo che gli allenatori che vincono di
molti punti contro un avversario più debole (90-20) non stanno costruendo
carattere e personalità vincenti nei proprio giocatori.
Come spiegato dalla psicologa, dottoressa Susanna Petri in
una intervista (si veda “Un modo consapevole di vincere” in
http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/05/edu.html): “chi mette in atto
questo tipo di umiliazioni legittimate nei confronti dell’altro, specialmente
se in base a queste esperienze e alla “cultura” in cui è inserito sta
costruendo la sua identità (come nel caso di bambini, adolescenti, ragazzi.
Ndr.) ha buone probabilità di trasformarsi in un individuo con scarso esame di
realtà e una visione distorta ed esaltata di se stesso, una implicita fragilità
dell’Io, data dalla mancanza di esperienze di fallimento (e quindi la
difficoltà oggettiva di poter contare su strategie di difesa ottimali e sane,
che non includano l’aggressività) e una progressiva perdita della capacità di
“vedere” l’altro, ovvero di empatia.”
Sono chiari i danni che noi allenatori facciamo ai giocatori
che alleniamo ogni volta che chiediamo loro di vincere 90-20 una partita?
E' un paradosso: finiamo per creare persone/giocatori con un Io molto
fragile, quando siamo convinti di fare l'esatto opposto.
Sempre la dottoressa Petri chiarisce meglio questo concetto:
“è come se un adulto si sentisse onnipotente per aver battuto un bambino a
braccio di ferro.” (Petri, 2013)
Riflettiamoci per favore.
Non solo facciamo dei danni ai giocatori/persone che
subiscono quel punteggio attraverso “un episodio oggettivo di umiliazione,
accompagnato dai vissuti soggettivi corrispondenti di vergogna e impotenza”
(Petri, 2013), ma lo facciamo ai giocatori che alleniamo.
E, guardano il quadro più ampio, indeboliamo il movimento
sportivo!
Non ci vuole uno psicologo a capire cosa accade dentro un
giocatore che perde tante partite 90-20: l'umiliazione impedisce il
divertimento. La mancanza di divertimento inibisce l'apprendimento e le
motivazioni lentamente si spengono. Risultato?
I giocatori si disinnamorano dello sport e lo abbandonano.
I giocatori si disinnamorano dello sport e lo abbandonano.
Se non capita anche di peggio, ossia che chi subisce queste
umiliazioni nutre poi “il desiderio di assumere il ruolo del carnefice e si
adopera per coltivare sentimenti e abilità orientate all’umiliazione dell’altro
e all’aggressività piuttosto che a una modalità cooperativa o sanamente
competitiva.” (Petri, 2013)
Riassumendo le conseguenze dirette delle tendenze dei
risultati delle partite sono quindi:
1) se si segnano molti punti è perché il divario tra le due
squadre è elevato. Conseguenza: i giocatori che vincono crescono con un Io
fragile e i giocatori che perdono sono a rischio di abbandono dell'attività
sportiva.
2) Se la partita è equilibrata i punteggi diminuiscono.
Conseguenza: i giocatori non accrescono le loro abilità
tecniche/tattiche/decisionali/personali come effetto dei nostri allenamenti e
quindi segnano pochi canestri quando le partite sono punto a punto.
Date queste premesse, esiste davvero un futuro per il basket
e lo sport italiano?
IL FUTURO DELLO SPORT. QUALE? Di Edi Daniele Moroso
Facendo una analisi sul futuro dello sport in Italia, la
situazione è alquanto inquietante.
Non esiste infatti una legislazione sportiva seria, non ci
sono programmi, le risorse economiche sono limitate ed utilizzate
esclusivamente in discipline che creano marketing, guadagno e business. Le
risorse umane ci sono ma sono impiegate male, gli impianti mal gestiti e mal
distribuiti. Tutto ciò crea delusione e disaffezione verso l’educazione allo
sport.
Nella provincia, ove prevale il perbenismo di facciata, la
compiacenza, l’apparire e il non essere, la situazione è ancor peggiore.
I settori giovanili sono seguiti in maniera approssimativa
da dirigenze scadenti, litigiose e non qualificate; i risultati si evincono
ogni giorno.
Abbiamo estremo bisogno di risorse umane preparate,
entusiaste, che sappiano programmare e che siano titolari dei requisiti
necessari per insegnare: laurea in Scienze motorie, brevetti rilasciati dalle
federazioni competenti (Germania e Francia insegnano).
Lo sport non è solo una scienza ma deve essere competenza,
preparazione e cuore, capacità e aspetti che devono pervadere ed incidere la
sfera fisica, mentale e spirituale dei giovani attraverso il lavoro sullo
sviluppo della mente (capacità di comprendere ed elaborare le esperienze).
Lo sport deve incentivare la memoria (raccoglitore e
selettore delle esperienze) e stimolare la volontà (la capacità di mettere in
atto le esperienze).
Questi aspetti sopra elencati devono trovare un ambiente
ideale in termini di serenità, organizzazione e professionalità per promuovere
un progetto di sviluppo; ma ci dobbiamo muovere!
Il più grande aiuto per gli educatori è fare squadra, fare
sistema; al contrario gli educatori sportivi potrebbero diventare dei “tenenti
Drogo” (dal libro “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati) che sui bastioni
del Forte aspettano. Che cosa? Non si sa!!!
E sarebbe una fine alquanto deludente.
Buon cammino, e coraggio! Da Edi Daniele Moroso
UN FUTURO ALTERNATIVO
La mentalità vincente non si crea insegnando a umiliare un
avversario chiaramente inferiore.
La mentalità vincente si trasmette con l'esempio e con il lavoro sulle piccole cose e sui particolari del gioco. Si insegna attraverso la resilienza che nasce dai fallimenti, l'umiltà che va ricercata dopo le vittorie e la collaborazione empatica che entrambi i risultati favoriscono in noi esseri umani.
La mentalità vincente si trasmette con l'esempio e con il lavoro sulle piccole cose e sui particolari del gioco. Si insegna attraverso la resilienza che nasce dai fallimenti, l'umiltà che va ricercata dopo le vittorie e la collaborazione empatica che entrambi i risultati favoriscono in noi esseri umani.
Da allenatore mi sono trovato in entrambe le situazioni: ho
subito punteggi 100-20 e mi sono trovato nella possibilità di infliggerli ad
avversari che non potevano competere con la squadra che avevo la fortuna di
allenare. La scelta del mio staff?
Non snaturare i principi del nostro modello di gioco, ma chiedere alle giocatrici di esplorare aspetti del gioco meno utilizzati per apprendere principi nuovi. (Si veda l'articolo "Nuove frontiere" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/05/nf.html)
Risultato?
Abbiamo realizzato meno punti della nostra media e ne abbiamo subiti di più del reale valore avversario, ma la giocatrici hanno imparato come prendere nuove decisioni basate su nuove situazioni di gioco.
In altre parole se un coach non mette tatticamente e tecnicamente in difficoltà i giocatori che allena e poi non li sostiene dal punto di vista personale, allora non ha come primo obiettivo la loro crescita umana e tecnica.
Non snaturare i principi del nostro modello di gioco, ma chiedere alle giocatrici di esplorare aspetti del gioco meno utilizzati per apprendere principi nuovi. (Si veda l'articolo "Nuove frontiere" in http://theconsultingcoach.blogspot.it/2015/05/nf.html)
Risultato?
Abbiamo realizzato meno punti della nostra media e ne abbiamo subiti di più del reale valore avversario, ma la giocatrici hanno imparato come prendere nuove decisioni basate su nuove situazioni di gioco.
In altre parole se un coach non mette tatticamente e tecnicamente in difficoltà i giocatori che allena e poi non li sostiene dal punto di vista personale, allora non ha come primo obiettivo la loro crescita umana e tecnica.
E non sta contribuendo a dare a loro e allo sport un futuro positivo.
FONTI
Petri S. - Un modo consapevole di vincere: sport è
educazione - Nuova Atletica - Ricerca in Scienza dello Sport, N. 244/245,
gennaio/aprile 2014. Prima pubblicazione online: 3 dicembre 2013
http://parliamodibaskete.blogspot.it/2015/06/sport.html
Thompson J.
– Positive Coaching – Balance Sports Publishing, 1995
Thompson J.
– The Double Goal Coach – Harper, 2003
Redazione Pianeta Basket.com - Gli allenatori italiani sanno
far crescere talenti? pensiamo di
no! http://www.pianetabasket.com/editoriale/gli-allenatori-italiani-sanno-far-crescere-talenti-pensiamo-di-no-85574
Chi è Edi Daniele Moroso
Formatore ai corsi superiori della formazione e scoutistica
del C.N.G.E.I. Formatore distrettuale Lions. Istruttore di karaté 2° Dan. Ha
collaborato alla stesura di libri a carattere educativo e articoli di didattica
formativa. Cura per la rivista Nuova Atletica la rubrica “Il Mulo
Parlate – essere educatori sportivi oggi”
Chi è Alistair Castagnoli
Consulting e basketball coach, dottore in Scienze Motorie,
redattore della rivista Nuova Atletica, blogger su Processi Decisionali e
Intelligenza Emotiva nello sport. http://theconsultingcoach.blogspot.it/
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