La prevenzioni degli infortuni: anticipare e preparare

di Alistair Castagnoli, basketball coach, athletic trainer, dottore in Scienze Motorie

PERCHE' FACCIO QUESTI ESERCIZI?

Giorni fa una delle giocatrici di basket di cui seguo la preparazione mi ha posto un interessante quesito.
Di fronte ad un nuovo programma individuale di allenamento mi ha chiesto: “Perché faccio questi esercizi?”
La domanda dal mio punto di vista è intelligente e legittima, in quanto ritengo che maggiore comprensione ci sia da parte dell'atleta del motivo per cui gli è richiesto di impegnarsi e faticare, maggiore saranno la motivazione e l'apprendimento e migliore la performance.
La mia risposta alla sua domanda è stata: fai questi esercizi per tre motivi.

Ridurre la frequenza e la gravità degli infortuni.
Perfezionare la performance.
Migliorare i punti deboli fisici e mentali.

IL COMPORTAMENTO EMERGENTE

In 19 anni di lavoro come allenatore e preparatore di basket ho modificato – e continuo a modificare – diversi contenuti della metodologia che utilizzo. Uno in particolare è però diventato uno dei miei capisaldi: la prestazione individuale di ogni giocatore (e di conseguenza quella della squadra) va allenata nel modo più specifico possibile utilizzando la forma di gioco e i suoi principi come guida (per approfondire si veda http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/05/b4.html).
Questo perché un giocatore quando scende in campo deve semplicemente giocare. Giocando insieme i giocatori danno vita al gioco della squadra.
Mi piace infatti considerare la prestazione della squadra come il comportamento emergente che scaturisce delle componenti individuali dei giocatori. Il gioco della squadra altro non è che un livello di evoluzione successivo del sistema stesso, creato dalla interazione tra le abilità e le caratteristiche individuali dei giocatori che ne fanno parte (1).
Migliorare la prestazione di gioco del singolo giocatore caratterizza e migliora il gioco della squadra.

I TRE OBIETTIVI DELL'ALLENAMENTO

Questo è il motivo per cui ogni atleta che alleno, durante i suoi allenamenti, esegue una serie di esercizi che io preferisco chiamare “movimenti”: migliorare il proprio gioco (la prestazione) e così quello della squadra in cui gioca.
Ma come avviene esattamente questo miglioramento?

Al fine di giocare un atleta deve essere sano.
La salute del giocatore dipende principalmente dall'equilibrio mentale e fisico.
La salute fisica e mentale del giocatore è quindi il primo obiettivo di ogni allenamento.

La prestazione del giocatore è l'espressione pratica della sua storia personale e sportiva ed in campo egli porterà tutto ciò che è stato allenato a fare nel corso della sua carriera. Anzi, è più preciso dire, che il giocatore in campo sarà ciò che durante gli allenamenti ha memorizzato e che ha trasformato in abitudine motorie.
Il secondo obiettivo di ogni allenamento è quindi quello di creare nuove impostazioni mentali nel giocatore che gli consentano di automatizzare una progressione di abitudini motorie che devono essere funzionali al suo benessere e al miglioramento della sua performance (da cui dipende quella della squadra).

Le abitudini motorie vanno insegnate in un contesto direttamente collegato alla performance che il giocatore deve esprimere. Per questo non mi piace parlare di “esercizi” e preferisco il termine “movimenti”. Giocare è “compiere movimenti e prendere decisioni”. Non è “svolgere esercizi”.
Ma perché un giocatore possa imparare nuove abitudini motorie egli dovrà lavorare al fine di migliorare tutti i suoi punti deboli: anche in questo caso sia mentali sia fisici.
E' questo il terzo obiettivo di ogni allenamento.

SO FARE CIO' CHE IL GIOCO MI CHIEDE DI FARE?

Per allenare un giocatore parto quindi dalla comprensione del sistema di gioco di cui farà parte, dall'analisi dei movimenti che il suo corpo può già compiere e dalla sua storia clinica e sportiva. Conoscere i tipi di allenamenti a cui è stato sottoposto e gli infortuni che ha subito mi permette di creare un protocollo di allenamento ancora più specifico e personalizzato.
Un esempio: allenare un giocatore che ha subito una ricostruzione di un legamento crociato nel ginocchio della gamba dominante non è lo stesso che allenare un giocatore che ha subito lo stesso tipo di ricostruzione nel ginocchio della gamba non dominante.
Una volta che ho ben chiari i principi del modello di gioco e che ho verificato la performance del giocatore durante una partita, posso valutare dove intervenire per far coincidere ciò che il giocatore sa e può fare con quanto il modello di gioco gli richiede di fare.

Apro una parentesi per sottolineare che in questa fase non mi affido ai test convenzionali, ma preferisco esaminare il giocatore durante le partite in cui è sottoposto ad una grande pressione emotiva e fisica – playoffs, finali, partite punto a punto – per verificare attraverso quali abitudini il suo sistema neuromuscolare esprima la performance.
Raccogliere dati e tendenze mi dice già quali sono i movimenti che il suo corpo sa ed è abituato a compiere.
I movimenti che infatti esegue nei momenti di maggiore stanchezza e difficoltà durante le partite mi rivelano problematiche fisiche meglio di test eseguiti quando il giocatore è ben riposato in condizioni non di gara.
Giocare a basket significa prendere continue decisioni che gli avversarsi tentano di farci sbagliare togliendoci lucidità. Non significa solo correre da linea di fondo a linea di fondo nel minor tempo possibile (per approfondire l'argomento sulla presa di decisione sportiva si veda “Allenarsi a decidere” in http://theconsultingcoach.blogspot.com/2015/05/nf.html).

IL PARADOSSO DEL GIOCATORE DI SCHRöDINGER

Come detto all'inizio dell'articolo il primo obiettivo dei programmi di allenamento (fisici, tecnici e tattici) deve essere la salute del giocatore.
Purtroppo la maggior parte dei giocatori vive in una perenne condizione di falsa certezza simile a quella ipotizzata dal fisico Erwin Schrödinger nell'esperimento mentale noto come Il Paradosso del Gatto di Schrödinger (2).
Come il gatto dell'esperimento è sia vivo che morto, così il giocatore gioca in uno stato in cui è sia sano che infortunato. Il suo stato di salute dipende infatti dalla sua capacità di esecuzione di tutti i movimenti che il gioco gli richiede, ma è possibile che sia costretto a eseguire dei movimenti per cui non si è preparato nel migliore dei modi. Questo può accadere nel caso di movimenti completamente nuovi (il basket è uno sport di situazione in cui è impossibile prevedere tutto ciò che accadrà) o movimenti già appresi ma che la prestazione gli richiede di eseguire ad angoli e velocità diverse da quelle allenate.

Evitare completamente gli infortuni è fattibile? Non credo. Se così fosse Durant e Thompson avrebbero giocato ogni gara dei Playoffs e delle Finali NBA 2019.
Ma numerosi studi ci dicono che ridurre la frequenza e la gravità degli infortuni è possibile (in bibliografia sono riportati alcuni dei più importanti).
Sempre rimanendo nell'NBA, durante il secondo quarto di gara 4 del primo turno dei Playoffs del 2016, Curry patì un brutto infortunio al ginocchio destro i cui legamenti crociato anteriore e collaterale mediale non si ruppero anche se avrebbero dovuto.
Come mai?

IL LAVORO DI SEMPRE

Il ginocchio di Curry non solo si bloccò, ma fu sottoposto a forze di rapida decelerazione e di torsione normalmente associate a rotture o gravi lesioni dei legamenti.
La diagnosi fu invece di uno stiramento di primo grado del solo legamento collaterale mediale e il ritorno in campo avvenne in soli 15 giorni (3).
Miracolo?
Non proprio. Ciò che salvò Curry, ma che purtroppo non salvò né Thompson né Durant, fu il lavoro preventivo eseguito dal giocatore e preparato dello staff dei Golden State Warriors.

Da diversi anni lo studio della performance e delle dinamiche che determinano gli infortuni hanno permesso a Università, medici, ricercatori e preparatori di redigere e testare dei protocolli preventivi che preparano le articolazioni e la muscolatura del giocatore a reagire in modo ottimale in situazioni di estremo stress fisico. Le articolazioni più colpite dagli infortuni nel gioco del basket sono: l'articolazione della caviglia, del ginocchio, della colonna vertebrale. Meno frequenti e meno gravi sembrano essere gli infortuni all'articolazione di dita, spalle, gomiti, anche e piedi.
Come funzionano questi protocolli preventivi? L'analisi dei meccanismi traumatici da contatto e non-contatto ci permettono di ipotizzare quali esercizi possano stimolare il sistema neuromuscolare ad attivare, in modo automatico, delle contro misure che salvaguardino il più possibile lo stato di salute (di equilibrio) del corpo del giocatore.

E' quello che secondo me dovrebbe essere “il lavoro di sempre”. Un lavoro individualizzato da svolgere prima di ogni allenamento e prima di ogni partita.

I principi su cui si basano questi protocolli – chiamati in inglese Preventive Neuromuscolar Training, PNMT, CNS priming, Reactive Warm-up – sono molto simili e ogni anno qualche nuova scoperta ci permette di migliorarli ulteriormente.
Il momento in cui inserirli è in sostituzione del riscaldamento classico, per creare un nuovo tipo di riscaldamento il cui scopo non è solo quello di preparare la mente e il corpo; migliorare gli scambi respiratori; aumentare l'afflusso di sangue; incrementare la temperatura corporea, l'elasticità, la flessibilità, il tono e la coordinazione muscolare, ma soprattutto quello di ridurre i rischi di infortunio facendo compiere al giocatore una serie di movimenti (movimenti e non esercizi) funzionali e specifici dello sport praticato attivando il Sistema Nervoso Centrale (SNC) e il sistema Neuromuscolare (SNM).

IL PROTOCOLLO

Il protocollo di cui ora tratto è stato preparato nel corso degli anni con la preziosa collaborazione del collega dott. Marco Coletti ed è basato sugli studi sopra citati (e che trovate in bibliografia).
Al fine di renderlo più efficace abbiamo analizzato i movimenti che il giocatore deve compiere per poter praticare lo sport scelto. Nel nostro caso il basket, la cui prestazione prevede che: il giocatore mantenga una posizione atletica durante la prestazione (4); modifichi la sua posizione aprendo e chiudendo gli angoli di tutte le articolazioni; coordini i movimenti di occhi, mani e piedi usando un attrezzo (la palla); afferri e lanci la palla; corra (si sposti sul campo) con e senza palla; corra in avanti e a volte indietro; acceleri; deceleri; si arresti su un appoggio e su due appoggi; riparta; cambi direzione; cambi senso; cambi velocità; salti e atterri su una gamba; salti e atterri su due gambe; si sposti in linea retta; si sposti lateralmente; corra saltellando da un appoggio ad un altro; si muova sia su un appoggio che su due appoggi; compia torsioni del busto e degli arti; compia rotazioni degli arti; compia giri usando il piede come perno; prenda contatto con altri giocatori spingendo e tenendo la posizione; subisca spinte e colpi; veda ed anticipi gli spostamenti di avversarsi, palla e arbitri.

Questo elenco ci fa capire come sia importante analizzare sia il modello di gioco sia le capacità ed abilità del giocatore. Ogni movimento richiesto dal gioco che il giocatore per qualche problema fisico (per esempio accorciamenti muscolari, inibizioni di alcuni muscoli, ridotta forza in alcuni distretti muscolari, appoggi dei piedi errati, vizi posturali, piccoli dolori, stanchezza mentale o fisica, infortuni passati, etc.) non esegue in modo fluido e naturale può diventare l'inizio di una cascata di adattamenti che inevitabilmente porterà ad un infortunio.

E' bene ricordare che nel basket questi movimenti non vengono compiuti dal giocatore in maniera disgiunta e con una pausa di riflesione tra l'uno e l'altro. Al contratio: il basket è trasformazione continua di movimenti. 
Una trasformazione di un movimento in un altro che il SNC e il SMN realizzano seguendo i programmi memorizzati. Questi programmi sono le abitudini motorie di ogni giocatore. Il nostro compito (di allenatori, preparatori, fisioterapisti, medici, giocatori) è trasformare abitudini pericolose in abitudini funzionali alla salute e alla performance.

Di seguito ho diviso il protocollo preventivo da noi elaborato in diverse fasi, ma da un punto di vista pratico (per il motivo appena spiegato) non esiste alcuna divisione e i movimenti di ogni fase sono preparatori e si intersecano con la fase successiva.
Uso questo protocollo con tutte le giocatrici e le squadre che alleno prima degli allenamenti di basket, prima degli allenamenti “atletici” o in “sala pesi”e prima della partita.
I concetti di cui parlo sono tuttavia applicabili a qualsiasi tipo di sport di squadra ed individuale.

QUALCHE ESEMPIO

Warm-up dinamico: corsa a bassa intensità, meglio se usando la palla da basket, in cui progressivamente vengono inseriti movimenti di prehab (di preabilitazione, tra cui i movimenti di step & stick e di step, stick, jump & hold) e di stretching dinamico (andature in cui si ricercano le lunghezze ottimali dei distretti muscolari e, tramite piegamenti ed estensioni, i range di movimento funzionali alla prestazione).
In questa fase inizia la preparazione anche del SNC e del SNM tramite la presa di consapevolezza visiva (utili gli esercizi a coppie o terzetti) e cognitiva di ciò che il giocatore sta facendo.
Il giocatore deve sentire il movimento e non solo compierlo in maniera passiva.

Neuromuscolar Activation (attivazione neuromuscolare specifica): in questa fase il giocatore esegue una serie di movimenti ancora più specifici del basket usando la palla (per esempio simulazione dei movimenti di giri frontali e dorsali; del terzo tempo; dei vari tipi di tiri e di passaggi; scivolamenti e spostamenti), con angoli esecutivi ed intensità crescenti. La regola è passare da una esecuzione lenta a una veloce; da attiva a proattiva a dinamica; da una serie di movimenti generali a specifici e da semplici a complessi.

Core (o core stability): l'importanza del core è ormai universalmente riconosciuta. Ricordo che il core è considerato come l'insieme delle azioni compiute da diversi distretti muscolari (tra cui il trasverso dell'addome, il multifido, il diaframma e i muscoli del pavimento pelvico, etc.), il cui scopo è produrre la massima stabilità nelle regioni addominale e lombare e assistere nella coordinazione dei movimenti complessi tra arti superiori, inferiori e colonna vertebrale (5).
In questa fase il lavoro non si concentra solo sul core in modo tradizionale, ma viene implementato da tutti quei movimenti specifici del basket in cui è richiesto muovere più arti contemporaneamente e in cui il corpo del giocatore applica forze e resiste a forze che provocano momenti torcenti (6).
Un core forte, che non ceda e renda il giocatore dinamico ma stabile è associato a minori rischi di infortuni alla schiena e alle articolazioni (7).

Stability (o knee stability and strenght; esercizi propriocettivi): movimenti che il giocatore esegue su piani instabili con forze che perturbano la sua continua ricerca di equilibrio e stabilità. In questa fase si possono usare cuscini e tavolette propriocettive, elastici, palle mediche, fitball ed altro. Anche in questa fase si passa da movimenti generali a movimenti sempre più specifici incrementando gli angoli e le velocità esecutive.
Questi movimenti si sono rivelati efficaci per recuperare da infortuni alle caviglie; per ridurre la frequenza e la gravità degli infortuni alle ginocchia e alle caviglie; per migliorare l'instabilità delle caviglie (8).
Fatto fondamentale se pensiamo che il giocatore per giocare si sposta usando i piedi (che insieme all'articolazione della caviglia sono sottoposti a stress e traumi ripetuti) e che è spesso costretto a muoversi in spazi stretti dove rischia di infortunarsi anche mettendo il piede sul piede di un altro giocatore (uno dei meccanismi traumatici più seri).

Jump (o NMPT o allenamento neuromuscolare preventivo): movimenti pliometrici; salti e balzi con differenti modalità di stacco e atterraggio (a un piede; a due piedi; singoli; ripetuti) in tutte le direzioni di movimento (in alto; in lungo; avanti; indietro; laterale; diagonale; con torsioni, rotazioni e perturbazioni in fase di volo) da fermi e in movimento (con e senza rincorsa; dopo aver eseguito un movimento specifico del basket); salendo e scendendo dai piani instabili o box (plinti).
E' importante curare sia la tecnica di stacco che di atterraggio nell'esecuzione di questi movimenti. Nello specifico una corretta tecnica di atterraggio è considerata un fattore riducente della frequenza e gravità degli infortuni alle ginocchia (9).


MOVIMENTI NON ESERCIZI

Thompson e Durant nonostante questi tipi di allenamenti e nonostante avessero a disposizioni staff e strutture di primo livello si sono comunque infortunati nel momento più importante della stagione restando esclusi dalle partite che hanno assegnato il titolo NBA.
Come mai Curry ha subito solo un infortunio lieve e loro due un infortunio così grave? I protocolli usati erano forse sbagliati? 
Ne dubito.
Ma voglio sottolineare nuovamente un concetto: ogni volta che in un giocatore noi allenatori e preparatori non insegniamo delle abitudini motorie funzionali al modello di gioco che dovranno giocare, funzionali al mantenimento della loro salute fisica e mentale e funzionali al miglioramento dei loro punti deboli, stiamo aumentando la probabilità che il giocatore da sano diventi infortunato. Il gioco è imprevedibile e se il gioco richiede l'esecuzione di un movimento che la mente e il fisico di un giocatore non possono compiere in totale sicurezza (e le abitudini motorie sono sicure) perché quel movimento non è stato precedentemente allenato, il rischio di infortunio aumenta.
Pensiamoci ogni volta che prepariamo i programmi di allenamento. Pensiamoci quando decidiamo le priorità, le specificità e gli "esercizi". E soprattutto non improvvisiamo. Perché se gli infortuni avvengono anche dove ogni aspetto è curato in maniera scientifica, immaginiamo i danni che possiamo fare se gli allenamenti li elaboriamo in auto mentre ci rechiamo in palestra, pensando alla partita da vincere ad ogni costo invece che ai nostri giocatori. 
Giocatori che per vincerla devono poterla giocare: sani, performanti e sicuri dei loro punti di forza.

Bibliografia e note

(1) per saperne di più sui comportamenti emergenti si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Comportamento_emergente

(2) si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_gatto_di_Schr%C3%B6dinger

(3) N D Schilaty, N A Bates, A J Krych, and T E Hewett – How Anterior Cruciate Ligament Injury was averted during Knee Collapse in a NBA Point Guard – Ann Musculoskelet Med. 2017 ; 1(1): 008–012 

(4) si veda http://blog.sirolatrainingmethod.com/2015/08/athletic-stance-4-important-rules-to-have-optimal-position/

(5) si veda Kibler WB, Press J, Sciascia A. – The role of core stability in athletic function – Sports Med. 2006;36(3):189-98

(6) si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Momento_torcente

(7) Huxel Bliven KC, Anderson BE – Core stability training for injury prevention – Sports Health. 2013 Nov;5(6):514-22

(8) Faizullin I, Faizullina E – Effects of balance training on post-sprained ankle joint instability – Int J Risk Saf Med. 2015;27 Suppl 1:S99-S101   

(9) Lopes TJA, Simic M, Myer GD, Ford KR, Hewett TE, Pappas E – The Effects of Injury Prevention Programs on the Biomechanics of Landing Tasks: A Systematic Review With Meta-analysis – Am J Sports Med. 2018 May;46(6):1492-1499

Karageanes, Steven J. – Principles of manual sports medicine – Lippincott Williams & Wilkins. (2004) pp. 510–511. ISBN 978-0-7817-4189-7

Akuthota V, Ferreiro A, Moore T, Fredericson M – Core stability exercise principles – Curr Sports Med Rep. 2008 Feb;7(1):39-44

Benis R, Bonato M, La Torre A. – Elite Female Basketball Players' Body-Weight Neuromuscular Training and Performance on the Y-Balance Test – J Athl Train. 2016 Sep;51(9):688-695

Bonato M, Benis R, La Torre A. – Neuromuscular training reduces lower limb injuries in elite female basketball players. A cluster randomized controlled trial – Scand J Med Sci Sports. 2018 Apr;28(4):1451-1460

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Mehl J, Diermeier T, Herbst E, Imhoff AB, Stoffels T, Zantop T, Petersen W, Achtnich A – Evidence-based concepts for prevention of knee and ACL injuries. 2017 guidelines of the ligament committee of the German Knee Society (DKG) – Arch Orthop Trauma Surg. 2018 Jan;138(1):51-61

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